Il teatro napoletano, la storia e la tradizione
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Il teatro è una di quelle realtà che purtroppo sta tendendo a scomparire fagocitata dalla società moderna, che invece dovrebbe essere esaltata per il potere artistico ed evocativo che è capace di trasmettere a tutti coloro che hanno la sensibilità di avvicinarsi.
In Italia si tratta di una tradizione profondamente radicata, che affonda le sue radici molto indietro nel tempo ed è sopravvissuta fino ad oggi con alcune opere che sono alla base della nostra cultura.
Un marchio di fabbrica del settore è la scuola napoletana, che nel corso dei secoli ha saputo plasmarsi e modificarsi seguendo la progressione storia, senza mai tuttavia perdere la propria dignità e soprattutto riconoscibilità nel mondo.
Esistono infatti alcuni tratti che sono peculiari esclusivamente di questa zona e tendono a ripetersi in modo costante accontentando differenti target di pubblico.
Ancora oggi sono realizzate rappresentazioni divertenti e drammatiche, come è nello spirito della città, che nella stessa opera riesce a convogliare riso e amarezza, ricchezza e povertà, mettendo a confronto diverse classi sociali e il loro continuo scontro per cercare un posto nel mondo che possa accoglierle in maniera benevola.
Numerosi sono i personaggi di spicco che nel corso del tempo si sono succeduti sui maggiori palchi della città, coinvolgendo il pubblico e provocando sia lacrime di gioia che di tristezza, spesso a distanza di pochi minuti le une dalle altre.
In questo articolo analizzeremo nel dettaglio la storia di questa nobile arte, come si è diffusa sul territorio e come è riuscita a sopravvivere alla modernità, adattando le proprie strategie alla mutevolezza del pubblico ma allo stesso tempo portandolo dalla propria parte attraverso schemi riconoscibili e sempre apprezzati.
Non perdete l’occasione di compiere un viaggio fino al nucleo del teatro napoletano, apprezzandone le caratteristiche e la diffusione fino agli strati più bassi della popolazione, un’ondata di democrazia davvero rara per un’epoca come quella che vede i natali di questo genere di rappresentazioni recitate.
Quando nasce il teatro napoletano
Le prime attestazioni storiche e accertate che riferiscono della nascita del teatro napoletano sono collocabili attorno al 1400 circa, quando la cultura inizia a fiorire nuovamente dopo alcuni secoli bui che hanno caratterizzato il medioevo.
Tutte le arti principali vengono riscoperte e adattate al nuovo pubblico al quale si riferiscono, pur cercando di mantenere tutti gli elementi caratteristici provenienti dal passato.
La base di partenza di questo nuovo filone campano è l’esempio greco antico, con gli spettacoli orfici, le commedie e le tragedie che tanto avevano appassionato la popolazione dell’epoca.
Vengono pertanto riproposte storie antiche, ma anche nuove idee inerenti la situazione storica attuale e soprattutto le varie dominazioni che il territorio è costretto a subire nel corso del tempo, con le conseguenze che la popolazione deve subire in termini di povertà e di modifica delle proprie abitudini di vita.
Un primo esempio di drammaturgo vero e proprio appartenente al teatro locale fu Jacopo Sannazzaro, che negli anni diede sfoggio della propria bravura e dialettica, realizzando delle opere di grande successo e soprattutto valore artistico.
A Castel Capuano, infatti, mise in scena un’opera grandiosa chiamata Arcadia, per omaggiare il re Alfonso D’Aragona che era accorso ad assistere alla prima.
In questo componimento celebrava le vittorie degli spagnoli e in particolar modo la presa di Granada, una delle imprese migliori in ambito bellico del popolo iberico.
Seguendo di qualche anno, sulla scena si affermò anche Pietro Antonio Caracciolo, che con la sua spiccata personalità seppe conquistare il pubblico e divenire ben presto la star del palco.
Nel giro di poco tempo portò all’attenzione del pubblico spettacoli di forte impatto sociale, come La farsa de lo cito e Imagico, che trattavano temi popolari e semplici con un linguaggio adatto ad essere capito anche dagli strati più bassi della popolazione.
La vera innovazione di questo personaggio consiste proprio nell’apertura di un’arte fino a quel momento elitaria anche agli individui più umili, che possono godere di uno spettacolo divertente e in parte istruttivo, capace di nascondere una morale comprensibile.
Altra figura leggendaria dell’inizio del 1500 fu il cantastorie da strada Velardiniello, che si colloca su un altro livello meno aulico ma riesce comunque a penetrare nell’immaginario collettivo e rimanere impresso con la sua dialettica ironica e ficcante, che rispecchia pienamente l’anima di un popolo che fa del sarcasmo la propria carta vincente.
La nascita di Pulcinella
Tutta la fase precedente ai fasti del 1900 si caratterizza per la presenza della maschera di Pulcinella, un personaggio che è stato interpretato da una moltitudine di attori e al quale ognuno è riuscito a dare parte della propria personalità, rendendolo sempre più caratteristico.
Si tratta di una figura proveniente dal popolo, che incarna in pieno i tratti principali della cultura napoletana e tutti i pregi e i difetti dei suoi abitanti.
Con le sue battute ironiche riesce solitamente a farsi beffa dell’intera classe politica e delle sue magagna, denunciando la condizione del ceto sociale più basso, da sempre vessato dalle ingiustizie e soggetto alla fame e alla povertà.
Il suo successo, infatti, è dovuto principalmente alla grande capacità di farsi voce della gente che non ha diritto di parola o è incapace di esprimere il proprio disagio su un palco e davanti a un vasto pubblico.
Il primo a far nascere la più celebre maschera della storia fu Silvio Fiorillo alla fine del 1500, anche se il vero successo giunse per merito dell’interpretazione di Andrea Calcese, che ne fece immediatamente un importante strumento di satira e lotta politica.
Ancora oggi parliamo di una delle figure più riconoscibili del panorama italiano, caratterizzata da un abito bianco e nero e da una maschera che copre parte del volto, proprio a sottolineare il suo ruolo di grillo parlante senza esporsi eccessivamente.
L’ultimo attore ad interpretare il ruolo fu Antonio Petito nel corso del 1800, che fu capace di fornire un tocco ancora diverso e attribuire una caratterizzazione unica nel suo genere a Pulcinella.
La sua trasformazione lo portò a divenire da semplice servo, talvolta sciocco ma tagliente, a vero e proprio cittadino del capoluogo campano, dotato di innata furbizia e un talento unico nell’ironizzare gli accidenti che possono capitare nella vita.
Una figura dissacrante, contrassegnata da un’intelligenza sottile.
I personaggi di Eduardo Scarpetta
Eduardo Scarpetta fece la sua comparsa nell’ambito del teatro napoletano a soli 15 anni, grazie alla chiamata che venne niente di meno che da Petito, ormai una figura affermata e di grande successo.
Il personaggio maggiormente di successo che riuscì ad elaborare e far crescere nel corso del tempo fu Felice Sciosciammocca, che servì come spalla di Pulcinella instaurando con lui divertenti dialoghi e sostenendolo nella sua comicità.
Viene pertanto ricordato per la sua capacità di dare il la alla battuta, rendendo lo spettacolo a due molto più fluido del classico monologo.
Alla morte di Petito, decise di lasciare perire anche la sua maschera migliore e si dedicò alla realizzazione di figure appartenenti all’alta borghesia, che vengono ridicolizzate e smascherate in ognuna delle loro debolezze.
I caratteri che vengono esaltati sono quelli della farsa, proprio a voler sottolineare la falsità del ceto sociale e l’approccio spesso prevaricante che ha nei confronti delle classi meno abbienti.
Il successo fu immediato, poiché i poveri si vedevano finalmente rappresentati in modo adeguato e potevano ridere delle disavventure di coloro che ogni giorno li tiranneggiavano nella vita reale.
L’eredità di Scarpetta: i fratelli De Filippo
Non tutti sanno che i tre celebri attori sono in realtà i figli illegittimi del deceduto Scarpetta, che ebbe una relazione con Luisa de Filippo.
Peppino, Eduardo e Titina iniziarono a calcare le scene ancora bambini, lasciando intravedere immediatamente la propria attitudine alla comunicazione e al rapporto con il pubblico.
La loro fu una carriera di enorme successo, proseguita con la fondazione di una compagnia teatrale a conduzione familiare, che vide il loro esordio tutti insieme nella celebre opera Natale in casa Cupiello, che ancora oggi viene proposta nei teatri di tutto il mondo ed è in grado di emozionare e scuotere le coscienze del pubblico moderno.
Il più noto dei tre, Eduardo, dopo aver incontrato qualche problema durante il fascismo per la sua satira dissacrante, sbocciò definitivamente nel dopoguerra come capolavori di valore assoluto come Napoli Milionaria e Filumena Marturano, che superarono non solo i confini della regione ma anche quelli della nazione.
Si trattava di una comicità maggiormente aderente alla realtà, basata sul verismo e capace di abbandonare il supporto delle maschere a favore di una rappresentazione più attinente al quotidiano.
Questo aspetto mandò letteralmente in visibilio il pubblico, che si rispecchiò ancora maggiormente nei dialoghi sinceri e nella nuda realtà, anche quella più cruda e spesso ricca di disparità sociali.
L’ascesa di Totò
Probabilmente nessuno al mondo può sentire nominare il nome di Totò senza avere ben chiaro chi sia il personaggio.
Nome d’arte di Antonio de Curtis, prima di imporsi a livello cinematografiche con alcune delle commedie che hanno fatto la storia del grande schermo, mosse i suoi primi passi sul palco teatrale facendo la parodia del macchiettista Gustavo De Marco.
Il suo scopo era ideare una vera e propria maschera umana, riprendendo il passato ma allo stesso tempo innovandolo con la sua arte fuori dal comune e la sua capacità di suscitare una risata anche con il retrogusto amaro.
Nel corso del tempo acquistò una fama tale da non avere nemmeno più bisogno di pronunciare battute, poiché solo quando saliva sul palco le persone iniziavano a ridere con grande partecipazione.
Parliamo pertanto di uno dei grandi caricaturisti del passato, che con la sola mimica facciale era in grado di trasmettere un messaggio chiaro e preciso e rendere una macchietta qualsiasi persona, anche quella più importante.
Il suo amore per il teatro si evinse in tutta la sua dirompente potenza con il ritorno sulle scene all’età di 60 anni, ormai cieco, quando partecipò allo spettacolo A prescindere, e prolungò la propria apparizione oltre misura, incentivato dagli applausi e dal pubblico in delirio solo per la sua vista.
Il varietà
Il XX secolo fu un secolo di grande fermento dal punto di vista culturale, che vide la nascita di un tipo di comicità maggiormente legata all’intrattenimento che al messaggio.
Rifacendosi alla Belle Epoque e alla Parigi di fine 800, veniva sempre proposta la satira politica relativa agli accadimenti dell’epoca, condita con la consueta ironia e con un pizzico di sarcasmo davvero pungente, che talvolta valse la chiusura dei principali teatri dell’epoca.
Un personaggio di spicco del settore fu Nicola Maldacea, un macchiettista e cantante che seppe intrattenere target di pubblico differenti, regalando anche ottimi esempi di melodico che tanto piacevano alle giovani donne del popolo.
Altrettanto valida fu Tina Pica, figlia d’arte, che non si limitava a interpretare un copione ma costruiva lei stessa il personaggio, regalandogli un po’ della sua personalità e capacità comunicativa.
Numerosi altri furono i celebri attori che calcarono le scene del varietà, come la famiglia Maggio, di cui ben 7 figli decisero di intraprendere una carriera di discreto successo a teatro, ognuno con le proprie peculiarità e la capacità di far ridere gli spettatori.
L’intramontabile Massimo Troisi
Non potremmo terminare questo excursus senza citare un grande della comicità napoletana, noto ai più per i film di successo ma capace allo stesso tempo di regalare meravigliose performance teatrali.
Nel celebre trio composto da Lello Arena, Enzo De Caro e lui stesso, chiamato La smorfia, diede vita a una comicità tipica del cabaret all’interno di una trasmissione televisiva della RAI, mettendo in evidenza la comune provenienza da San Giorgio a Cremano.
Si tratta di una comicità semplice e diretta, che abbandona le classiche barzellette e gli aneddoti spinti, a favore di scenette di vita quotidiana che ancora meglio erano in grado di attrarre il pubblico e farlo personificare in quello che aveva davanti agli occhi.
Un’ironia delicata ma che riusciva allo stesso tempo a penetrare, denunciando i soprusi della politica e delle classi economicamente più solide, a discapito di un popolo che nel corso dei secoli si trovava ancora in un gradino piuttosto basso della scala sociale.
Fonte foto: rai.it